lunedì 3 novembre 2008

La morte della Pizia

"Io sono Edipo", disse il Mendicante.
"Non ti conosco", rispose la Pizia e sbirciò il sole che non voleva tramontare su quel mare azzurro.
"Tu mi hai fatto una profezia", ansimò il cieco.
"Può darsi", disse Pannichide XI, "ho fatto profezie a migliaia di persone".
"Il tuo oracolo si è adempiuto. Ho ucciso mio padre Laio e ho sposato mia madre Giocasta".
Pannichide osservò meglio il cieco, poi la ragazzina lacera, cercando di capire, stupita e ancora senza ricordare cosa poteva significare quella storia.
"Giocasta si è impiccata", disse Edipo a bassa voce.
"Chi?" chiese Pannichide.
"Mia moglie e mia madre", rispose Edipo.
"Mi spiace. Condoglianze".
"E poi ho accecato me stesso".
"Ah si?" Poi la Pizia indicò la ragazzina. "E questa chi è?" chiese, non per curiosità, solo per dire qualcosa.
"Mia figlia Antigone", rispose l'accecato, "oppure mia sorella", aggiunse imbarazzato, e raccontò una storia confusa.

La morte della Pizia (Das Streben der Pythia) di Friedrich Dürrenmatt, pubblicato nel 1976.

Nel racconto di Dürrenmatt, intorno alla figura della Pizia, la sacerdotessa di Apollo Pannichide XI, sfilano tutti i personaggi del famoso mito. Edipo, Laio, Giocasta, Tiresa e la Sfinge, raccontano la loro storia e, man mano che parlano alla vecchia e moribonda sacerdotessa, la vicenda si scompone e ricompone dando vita a una serie di verità traballanti. Saranno lei e Tiresia, il veggente che ordiva i più complicati intrighi, a cercare di dare un ordine e un senso allo svolgersi dei fatti. Ma né i racconti dei protagonisti, né i fasulli oracoli che la sacerdotessa e il veggente inventavano, lei per gioco e lui per calcolo, possono portare alla verità.
Mentre i due indovini si avviano a morire, circondati da una Delfi che lo scrittore svizzero dipinge come una Las Vegas degli oracoli, è Tiresia che prova a trarre delle conclusioni:
"Dimentica queste vecchie storie, Pannichide, sono irrilevanti: in tutta questa arruffata confusione i principali personaggi siamo noi. ci siamo trovati davanti alla stessa inquietante realtà, che è imperscrutabile come l'uomo che la produce. Può darsi che gli dei, se esistono, abbiano una visione più precisa anche se superficiale delle cose, al di là di questo gigantesco groviglio di fatti fantastici che, fra di loro ingarbugliati, provocano i casi più sfacciati; mentre mentre noi mortali capitati in mezzo a questo irrisolvibile groviglio, vi brancoliamo senza saperci orientare. speravamo entrambi, coi nostri oracoli, di conferire una vaga parvenza d'ordine, una lieve traccia d'una qualche legge nel fluire tetro, lascivo e spesso sanguinoso degli eventi che ci è piombato addosso, trascinandoci con sé, proprio perchè noi - anche se per un poco soltanto - abbiamo tentato d'arginarlo".

La morte della Pizia è un racconto di meno di trenta pagine eppure Dürrenmatt riesce a condensarvi una serie di riflessioni sulla verità e sul potere. Del resto lo scrittore elvetico sapeva essere piuttosto sintetico, un suo racconto Natale è di undici righe.

Romanziere, drammaturgo (grandioso il suo Romolo il grande), Dürrenmatt è stato tra i più originali innovatori del romanzo poliziesco (La panne, Il giudice e il suo boia).

Era svizzero Dürrenmatt, nato a Konolfingen nel Cantone di Berna. E quando sento parlare di Svizzera mi sovviene sempre una battuta di uno dei più grandi geni della storia dell'umanità: Orson Welles.

“In Italia, per trent’anni sotto i Borgia, ci furono guerra, terrore, assassini e spargimenti di sangue, ma questi produssero Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera avevano amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e pace, e che cosa produssero? L’orologio a cucù”.

1 commento:

tic. ha detto...

Ogni ordine è sempre precario...