sabato 29 novembre 2008

मुंबई Bombay Mumbai


I fanatici religiosi non colpiscono mai a caso. Per loro i luoghi e i simboli contano più delle persone. E Bombay è un simbolo.



Con quattordici milioni di abitanti, la città e un concentrato di cos'è oggi l'India. Un impetuoso sviluppo, milioni di persone che escono da secoli di fame e miseria e milioni che ci sono ancora dentro. Zone residenziali linde e organizzate, aree industriali che producono alta tecnologia e, al tempo stesso, una sterminata baraccopoli e mercati affollati di ogni miseria. Bombay è la capitale del cinema indiano e la città piena di templi, moschee, chiese e sinagoghe. Bombay ha cambiato nome perché il governo degli integralisti indù a preferito chiamarla Mumbai, ma tutti continuano a chiamarla con il vecchio nome.


Bombay è come l'India, vuole diventare moderna, è una democrazia laica ma soffre ancora del sistema delle caste. Bombay vuole guardare al futuro.



Gli integralisti hanno paura del futuro. Loro vogliono tornare nelle caverne, si nutrono di odio, ignoranza e disperazione. Continueranno a tirare bombe e sgozzare la gente, ma non vinceranno mai. Perché non si ferma il futuro.


giovedì 27 novembre 2008

Scherza con i fanti ma lascia stare Gramsci

"Ser Cepperello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto". (Decameron, Giovanni Boccaccio).


Antonio Gramsci è uno dei pensatori italiani più studiati all'estero, corsi sulla sua opera si tengono nelle università di mezzo mondo. In Italia, invece, dopo la sbornia ideologica degli anni sessanta e settanta è stato quasi dimenticato. Peccato, pochi intellettuali hanno interpretato come lui la società italiana con tanta profondità. Negli ultimi anni la nostra stampa si è occupata di Gramsci nello stesso modo in cui si occupa delle stelle dei realty televisivi. Così ci siamo beccati: Gramsci scrive lettere all'amante, Gramsci abbandonato dai sovietici, Gramsci lasciato morire da Togliatti e altri "studi storici" di questo livello.

In questi giorni abbiamo raggiunto la vetta: durante una conferenza stampa alla Radio Vaticana, mentre si presentava il primo catalogo di immagini sacre e santini per collezionisti, monsignor Luigi De Magistris , pro-penitenziere emerito della Santa Sede, ha rivelato di essere a conoscenza che il fondatore del PCI si sarebbe convertito in punto di morte. "Questo fatto, nel mondo della falce e martello, preferiscono tacerlo, ma è proprio così", ha proclamato il presule vaticano, oggi ottantaduenne. Gramsci morì nel 1937, dopo una lunga malattia trascorsa in parte in carcere, in parte sotto la vigilanza della polizia fascista nella clinica Quisisana di Roma. Il presule ha spiegato di aver saputo i particolari della conversione da una suora che lavorava nel nosocomio. "Il mio conterraneo, Gramsci - ha detto De Magistris - aveva nella sua stanza l'immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l'immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: 'Perché non me l'avete portato?' Gli portarono allora l'immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i Sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci perseguita. Il Signore non si rassegna a perderci", ha commentato l'esponente vaticano. Del tutto inutile chiedere al vescovo qualche prova più concreta, lui è un uomo di fede non deve esibire prove. Perplessi gli studiosi interpellati; Giuseppe Vacca, ex parlamentare del PCI e presidente della fondazione Gramsci ha osservato che dai numerosi documenti editi e inediti delle ultime ore del leader comunista tale riavvicinamento alla fede "non risulta". "La conversione di Antonio Gramsci al cattolicesimo? Una vecchia storia, ma mai provata da documenti ufficiali, che anzi la smentiscono", ha aggiunto Giorgio Baratta, presidente della International Gramsci society Italia. Il commento più brillante arriva dallo storico e filologo Luciano Canfora: "Temo fortemente che non sia assolutamente vero che Gramsci si sia convertito in extremis. Posso assicurare comunque che Pericle non si è convertito al confucianesimo".



La vicenda mi ha ricordato una delle storie del Decameron. Quella di Ser Cepparello, che Boccaccio pone come novella iniziale della prima giornata di racconti. Cepparello è un mascalzone patentato, descritto come "tanto malvagio uom" che si occupa di recuperare i crediti di un facoltoso mercante. In punto di morte si pente e, raccontando un sacco di fandonie, viene assolto da un frate. Creduto dal popolo un uomo pio e devoto sarà addirittura proclamato santo: San Ciappelletto.




Cosi, come un nuovo Cepparello, secondo il presule De Magistris, Gramsci, in punto di morte, abbracciò la fede. Mi aspetto testimonianze sui suoi miracoli, la beatificazione e infine una bella fiction.

Che le gerarchie ecclesiastiche si occupino di Gramsci da morto, piuttosto che da vivo e quand'era nelle grinfie dei fascisti, non è una novità, avevano fatto lo stesso con Croce, Gobetti, Rosselli, Amendola, Salvemini e perfino Don Sturzo.


mercoledì 26 novembre 2008

Una modesta proposta per l'intitolazione di una via a Trieste


La vita xe un bidòn.

Il ministro della difesa dichiara che i partigiani e i repubblichini di Salò erano uguali. Il sindaco di Roma celebra i soldati dello Stato Pontificio che a Porta Pia combatterono contro i bersaglieri del Regno d'Italia. Coerentemente con questa storia patria alla rovescia tanto in voga tra i nostri governanti, l'amministrazione comunale di Trieste propone di intitolare una strada cittadina a Mario Granbassi, giornalista e fascista.



Del Granbassi giornalista si ricordano una trasmissione radiofonica per bambini all'EIAR "Mastro Remo" e la direzione di un giornalino chiamato "Il cantuccio del balilla". Il Granbassi fascista si arruolò come volontario nella Guerra di Spagna dove, assieme ai legionari italiani, combatté a fianco dei falangisti di Francisco Franco. Non ho altro da aggiungere, tranne uno stralcio dagli stessi diari di Granbassi in Spagna: "La sento tanto profondamente come una guerra fascista questa che sono venuto a combattere, sacrificando i miei affetti più cari e abbandonando il mio posto di lavoro! Gridare il nome del Duce, in faccia a questa trincea comunista, in questa notte di guerra, tanto lontano dalla Patria, è per me una soddisfazione che mi dà un’emozione profonda. Con quanto maggior diritto, con quanto orgoglio e fierezza, potrò gridarlo ora il nome del Duce, nelle piazze d’Italia se il destino mi farà tornare ai miei dopo aver compiuto anche con le armi il mio dovere di fascista".
Granbassi morì in Spagna nel 1939. Un anno dopo il regime ne onorò la memoria con la medaglia d'oro al valore militare.



Angelo Cecchelin era un comico triestino. Lingua svelta e tagliente, pagò spesso la sua abitudine a burlarsi dei potenti di turno. Già tenuto d'occhio dalla polizia austro-ungarica per il suo dichiararsi mazziniano e nazionalista italiano, con l'arrivo dell'Italia si presentò in scena vestito da Francesco Giuseppe rimpiangendo i tempi andati. "Non sono un coraggioso, sono un incosciente", diceva di sé e durante il ventennio fascista collezionò ottantasei diffide, tre arresti, due processi, tre sospensioni e una vigilanza speciale durata tre anni. Finita la guerra, gli occupanti jugoslavi non dimenticarono le sue battute su slavi e comunisti e con l'Italia repubblicana, infine, finì coinvolto nel processo per l'uccisione di un suo ex collega Nino d'Artena che, denunciato come fascista da Cecchelin, finì infoibato. Condannato a cinque anni di reclusione ne scontò due. In seguito gli venne impedito di lavorare a Trieste. Girò l'Italia e il mondo e morì a Torino nel 1964. Ancora oggi le sue canzonette e battute sono famosissime a Trieste.





Invece di intitolare una via a un volontario fascista nella Guerra di Spagna, sarebbe meglio, molto meglio, intitolarla a uno che è finito in carcere per la voglia di scherzare e fare ridere. Aggiungerei sotto l'iscrizione del nome una delle sue migliori battute: "Beati gli assetati di giustizia perchè saranno giustiziati".

martedì 25 novembre 2008

Pordenone legge, Pordenone pensa

"Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (Ludwig Wittgenstein).


Pordenonelegge è uno dei migliori festival italiani dedicati all'editoria. Un programma molto vario, ospiti di qualità e una rilevante presenza di pubblico. Insomma, uno dei più importanti eventi del Friuli Venezia Giulia. Tutto bene allora? Mica tanto. Per la Provincia di Pordenone l'iniziativa è troppo politicamente sbilanciata e quindi bisogna fare qualcosa, così dal cilindro di Alessandro Ciriani, Presidente della Provincia di Pordenone, salta fuori un nuovo evento: Pordenone Pensa.



E di che si tratta? Convegni, interviste, dibattiti e presentazioni di libri. Un doppione quindi? "No", afferma risoluto il Presidente della provincia e aggiunge: "Il festival sarà sinonimo di cultura aperta a tutti, senza snobismi e senza pregiudizi, in grado di coinvolgere ospiti e pubblico di qualsiasi appartenenza politica e culturale. Per questo abbiamo scelto pensatori liberi e capaci di parlare un linguaggio semplice e diretto: è ora di portare la cultura fuori dai salotti e trasferirla tra la gente. E proprio questo lo spirito che anima Pordenone Pensa: appuntamenti culturali come occasioni per stare insieme, riflettere, passare qualche ora piacevole", e conclude: "Pordenononelegge è incentrata sugli autori, Pordenone pensa è incentrata sulle idee". Wow!

E chi sarebbero questi "pensatori liberi e capaci di parlare un linguaggio semplice"? Ho preso il programma del festival e ho fatto una breve rassegna di alcuni "pensatori": Giampiero Mughini, si, proprio lui, quel tipo che grida, sbraita, e pontifica nelle trasmissioni sportive; Magdi Cristiano Allam, vicedirettore del Corriere, uno che dopo la conversione al cristianesimo è diventato più fanatico di Bin Laden; Mario Giordano, direttore de "Il Giornale"; Marcello Veneziani, di professione "intellettuale di destra"; Anonio Socci, integralista cattolico; Renata Polverini, segretaria nazionale dell'UGL; Fausto Biloslavo, giornalista e, anni fa, uno dei ras del Fronte della gioventù di Trieste; Maurizio Sacconi, ministro del Welfare; e così via.

Tra i relatori ci sarà Fabrizio Nonis, un macellaio. Si, proprio un macellaio, uno che si occupa di tagli di carne e tiene delle rubriche televisive di gastronomia. Sono certo che la sua prolusione sui tagli per il bollito e sulle costate sarà la parte più interessante del festival.



Fino a oggi, nella nostra regione, i doppioni nascevano dalla necessità di avere la stessa cosa, con allegato spreco di risorse, a Udine e a Trieste. Oggi, con Pordenone Pensa, facciamo un salto di qualità: la stessa cosa, nella stessa provincia e nello stesso comune.

Al Presidente Ciani vorrei dire che è inutile tormentarsi sul fatto che quando si organizza un festival culturale la maggior parte degli ospiti è di sinistra. Si rassegni, è nella natura delle cose che tra gli intellettuali c'è una maggioranza di elettori di sinistra, come tra i commercialisti c'è una maggioranza di elettori di destra. Non vi serve fare un altro festival, tanto le elezioni si vincono con i commercialisti e non con gli intellettuali.



Per tutti coloro che non si sentono politicamente rappresentati dai due festival, suggerisco di organizzare: Pordenone scrive, Pordenone parla, Pordenone disegna, Pordenone sbadiglia, Pordenone ronfa...

lunedì 24 novembre 2008

Anch'io simpatico (II puntata)

Il vero simpatico è sempre in sintonia con la gente, come un abile navigatore prende sempre il vento giusto delle opinioni collettive. Se sta in Russia dice che gli americani sono dei provocatori, ma se sta a Washington abbraccia il presidente americano e gli dice che passerà alla storia. Se sta in Turchia, poi, dice che si impegnerà a farli entrare nell'Unione Europea, ma se sta a Busto Arsizio dichiara che mai permetterà che quei pericolosi islamici entrino in Europa. E se qualcuno nota le contraddizioni? Nessun problema, in questo paese la memoria media non dura più di una giornata, e poi si può sempre smentire.



Vado a prendere i sigari toscani in un bar vicino a casa. Clientela popolare e operaia; si penserebbe un luogo dove sentire discorsi progressisti, invece, grazie all'incapacità comunicativa della sinistra e a un televisore perennemente acceso, la maggioranza degli avventori si spertica in lodi a Bossi e al Presidente del consiglio.


Monfalcone è terra di immigrati e lo è sempre stata. In questi anni c'è stato un cospicuo arrivo di immigrati dal Bangladesh. E' gente che fa dei lavori che nessun italiano vuole fare e che non è mai stata coinvolta in nessun fatto di cronaca nera. Ma non importa, a molti danno fastidio e nemmeno sanno dirti perché.

E così, mentre bevevo un caffè, potevo ascoltare il titolare lamentarsi della presenza di questi immigrati. Quale occasione, ho pensato; ecco, posso diventare simpatico. basta un sorriso, una battuta, farmi vedere in sintonia con le sue opinioni e il gioco è fatto. Eppure c'era una cosa: mentre inveiva contro di loro, il titolare continuava a servire i tanti bengalesi che entravano nel locale e lo faceva pure in modo gentile. Allora gli ho fatto notare che se gli stanno tanto sulle scatole avrebbe dovuto mandarli via. Mi ha guardato e, mentre pensavo di essere preso a insulti, mi ha risposto che in fondo lui deve pur vivere e che forse avevo ragione, non avrebbe dovuto insultarli; "semo tuti poreti" (siamo tutti dei poveretti, per chi non conosce il bisiaco) ha concluso.

Oggi probabilmente sarà di nuovo a inveire e alle prossime elezioni voterà Lega, comunque sono riuscito a costringerlo a cinque secondi di riflessione. Ma in quanto a simpatia continuo a fallire.


Nel suo film più sofisticato, "Zelig", Woody Allen racconta la storia di un tale che per farsi amare dagli altri si adatta, trasformandosi come un camaleonte, all'ambiente circostante. Il disturbo era cominciato quando, durante una conversazione con gente colta, tutti palavano di Moby Dick e lui non sapeva quale fosse il finale di Moby Dick.

Se bastasse fare leggere a tutti Moby Dick...



Ah, Moby Dick finisce male.

sabato 22 novembre 2008

I Griffin e Graham Chapman


"It seems today that all you see is violence in movies and sex on Tv. But, where are those good ol' fashion values ... on which we used to rely? Luckily there's a Family Guy! Luckily there's a man who, positively can do all the things that make us ... Laugh and cry! He's a Fa-mi-ly Guy".

"Mi hanno detto che tu ami gli animali, così ti ho preparato un combattimento di galli a sorpresa".

I Griffin (in originale Family Guy) sono un cartone animato bandito nei seguenti paesi: Israele, India, Indonesia, Malaysia, Taiwan, Cina, Albania, Polonia e Corea del Sud. In altri, tra i quali l'Italia, sono usciti con tagli e censure e l'emittente Italia 1 è stata multata per 25.000 euro con la motivazione che il cartone è "caratterizzato dall'uso di espressioni volgari e di turpiloquio".

La serie, nata dalla fantasia dello sceneggiatore e disegnatore americano Seth MacFarlane, racconta le vicende di una famiglia di Quahog, un immaginario paesino del Rhode Island. La famiglia è così composta: il padre Peter, un grasso, stupido e ignorante individuo, perennemente attaccato alla televisione. La madre Loise, figlia di una famiglia aristocratica e mancata pianista. Il figlio maggiore Chris, un imbecille con la passione per il disegno. La figlia Meg, un'adolescente disadattata. Il figlio più piccolo Stewie, un genietto che progetta avveniristici macchinari per realizzare i suoi due motivi di vita: conquistare il mondo e uccidere la madre. Infine, il cane Brian, raffinato intellettuale con un spiccata predilezione per l'alcool e in costante lotta tra i suoi gusti raffinati e la sua natura animale. Le loro storie, quanto di più politicamente scorretto si possa immaginare, sono arricchite da una pazzesca corte dei miracoli: una coppia di vicini di casa: lui ex poliziotto ora una specie di Rambo in sedia a rotelle e una moglie perennemente incinta. L'amico di famiglia, un pilota degenerato e maniaco sessuale, il sindaco della cittadina un onanista paranoico, drogato di barrette al ribes e così via di questo passo. Niente si salva; religione, razza, sesso, politica, tutto passa nel tritacarne di un umorismo ruvido e spigoloso. Ricchissima di citazioni della cultura popolare americana, la serie assomiglia molto a "I Simpson" ma, mettendole al confronto, i Griffin vincono in cattiveria e acidità.

C'è un limite all'umorismo? Ci sono argomenti sui quali non si può scherzare? No. Almeno per me. Sempre che lo sberleffo e la risata intendano stimolare il cervello e la coscienza e non si fermino sotto l'ombelico.


I Monty Python sono stati il più feroce e sguaiato gruppo comico inglese (chi ha visto "Il senso della vita" sa a cosa mi riferisco), non c'era argomento che non finisse nei loro sghignazzi e applicarono questa regola anche su loro stessi. Uno di loro, Graham Chapman, ammalatosi di una incurabile forma di tumore alla gola, lavorò fino agli ultimi mesi di vita e, in uno dei suoi sketch, ironizzò sulla malattia. Alla sua commemorazione ufficiale, due mesi dopo la morte, l'elogio funebre venne tenuto dall'amico e collega John Cleese; quel discorso è ricordato come uno dei più brillanti e divertenti discorsi pubblici della storia britannica

Vorrei avere anch'io un John Cleese al mio funerale.


venerdì 21 novembre 2008

Detroit


- Il prigioniero non vuole parlare.
- Allora mandatelo a Detroit.
- No, No. Per pietà. Parlo, parlo!



Non potete dire di avere visto una brutta città se non avete visto Detroit. E se ve lo dice uno che vive a Monfalcone credeteci.

Sono stato a Detroit alcuni anni fa. Ci sono arrivato in macchina, partendo da Ann Arbour, una gradevole cittadina dove sorge la University of Michigan, la prima università americana assieme alla californiana Berkeley dove si svolsero le proteste contro la guerra nel Vietnam. La Interstate 94, una di quelle enormi autostrade americane dove tutti rispettano i limiti di velocità, si infila direttamente in centro città. Io e il mio amico Jimmy, un americano che da anni vive a Gorizia, ci siamo arrivati una domenica sera. Il centro, se così si può chiamare, era desolatamente vuoto, né un locale, né un negozio aperti, gli unici luoghi che davano dei segnali di vita erano un enorme parcheggio (Detroit è una città fatta per le macchine non per gli uomini), un fast food greco dalla discutibile cucina e un gigantesco casinò che serve a rimpinguare le casse sempre più vuote del municipio. Presi dallo sconforto ci siamo rimessi in auto e attraversato il tunnel che, passando sotto il lago Michigan, porta in Canada a Windsor, una piccola città la cui passeggiata sul lungolago si chiama piazza Udine. Prima di entrare in Canada, a pochi passi dal confine, c'è un enorme cartello che ricorda ai cittadini americani di non entrare nel paese armati.

Nel suo "Bowling a Columbine", Michael Moore uno che è nato da quelle parti, intervistando il capo della polizia di Windsor gli chiede quanti fossero stati i delitti in città negli ultimi anni. Al poliziotto non ne viene in mente nessuno da almeno cinque anni, poi ci ripensa e se ne ricorda uno e l'omicida era un tale di Detroit. Vista da Windsor, Detroit sembra perfino bella.




Alcuni giorni fa sono arrivati a Washington con un lussuoso jet privato alcuni improbabili questuanti. Erano gli amministratori delegati di Ford, Chrysler e General Motors, tutte aziende che stanno a Detroit o giù di lì. Venivano a chiedere al congresso cospicui finanziamenti per le loro fabbriche in grave crisi. Non hanno portato a casa niente. Pazienza, non sarà la prima volta che la capitale di quella che gli americani chiamano la Rust Belt (cintura della ruggine), un territorio che va dalla Pennsylvania al Michigan, un tempo sede delle più grandi industrie meccaniche americane oggi ridotte a grattacieli di ruggine, sprofonda nella miseria. Ne ha viste tante di crisi Detroit.


Non è stata sempre così. Un tempo, fino agli anni sessanta, Detroit era una città ricca e potente, era la capitale mondiale dell'automobile. Costruita a immagine e somiglianza del suo figlio più famoso, Henry Ford, la città interpretava in modo migliore lo spirito dell'inventore della catena di montaggio: produrre e consumare; e così ogni operaio costruiva le macchine che poi avrebbe acquistato. La città crebbe, arrivarono numerosi immigrati da ogni parte del mondo e si arrivò a quasi due milioni di abitanti. Tanti erano i neri e la città divenne la capitale della cultura afroamericana nel nord Stati Uniti. A Detroit nasce la più importante casa discografica di rythm & blues la Motown. Sono di Detroit Aretha Franklin e Stevie Wonder e vi inizia la carriera Marvin Gaye. I bianchi, invece, sono di gusti più grezzi e non si occupano di musica, solo qualche anno più tardi, arriveranno Madonna ed Eminem.

Con gli anni settanta arriva la prima crisi petrolifera, poi la concorrenza giapponese e le ristrutturazioni industriali. Fabbriche chiuse e migliaia di disoccupati. I bianchi lasciano la città per i sobborghi dove si barricano in piccole ville piantando in giardino dei cartelli con scritto: "I vicini vi guardano e sono armati". La popolazione scende a ottocentomila abitanti e statisticamente in quegli anni era più facile finire ammazzati in città che a Saigon.





Non troverete una guida turistica di Detroit; le migliori foto della città si trovano in una raccolta di fotografie di Arthur Drooker dal titolo "American Ruins".



La città è il più grande parco archeologico del XX secolo. Migliaia di case, centinaia di edifici tra alberghi, palazzi, teatri e chiese giacciono abbandonati in uno scenario da bombardamento atomico. Il più incredibile dei relitti dal passato cittadino è la Central Michigan Station, un'enorme stazione ferroviaria con tanto di grattacielo completamente abbandonata.



Abbiamo percorso chilometri attorno a queste rovine contemporanee. Siamo stati in posti che hanno fatto da scenario a film come "Il corvo" e "Robocop", vedendo case abbandonate che, momentaneamente occupate dai senzatetto, finiranno incendiate nel loro vano tentativo di riscaldarsi nel freddo inverno del Midwest, per arrivare, infine, a Grosse Point, dove tra ville e barche di lusso vivono gli ultimi ricchi della vecchia "capitale mondiale dell'automobile".



In questi anni difficili a Detroit funziona una sola cosa: la squadra di hockey, i Red Wings. E non sarà un caso che nella più dura e sfasciata città d'America gli unici a vincere sono gli atleti del più spettacolare e violento tra gli sport di squadra.






Un grazie a James Joseph per avermi fatto conoscere e amare Detroit.
E' troppo facile amare Parigi.

giovedì 20 novembre 2008

Viva Villari!


Quello che ho detto ho detto. E qui lo nego! (Totò).

Uno dei sintomi del degrado di questo paese è il fatto che la nostra classe politica perda tempo a discutere della RAI, un'azienda decotta che un tempo insegnò l'italiano a milioni di persone, oggi promuove l'analfabetismo di ritorno. Negli altri paesi non è così. In Gran Bretagna gli uomini di governo non si attardano a discutere della BBC né in Germania della ZDF, negli Stati Uniti, poi, esiste una rete pubblica, la PBS che, senza canone né pubblicità, ha una programmazione di altissimo livello.

Qui da noi a occuparsi della RAI c'è una commissione parlamentare di vigilanza che, come tutte le commissioni di controllo, hanno una presidenza attribuita all'opposizione. Così, quando la commisione si insedia, l'opposizione propone il nome di Leoluca Orlando per la presidenza, ma alla maggioranza non piace e dopo qualche mese di stallo eleggono, con un'avvilente furbata, un altro rappresentante dell'opposizione: Riccardo Villari.




In un paese normale, un politico eletto a una presidenza contro il volere del suo partito si dimetterebbe. In Italia no. Mai lasciare una poltrona.
E così parte una delle più strepitose pantomime degli ultimi anni.
I leader dell'opposizione assicurano che Villari si dimetterà ma lui, un tostissimo ex dc, ex udeur, ex margherita, oggi pd, uno per il quale cedere una presidenza è come morire, tergiversa. Incontra Veltroni, poi il presidente del Senato, poi quello della Camere (per fortuna il Presidente della Repubblica non gli concede udienza), poi stremato dai troppi incontri stacca il cellulare e sparisce, dopo aver dichiarato: "Mi dimetterò quando si troverà l'accordo su un altro nome". Nel frattempo l'accordo sul nuovo presidente si trova. Sarà Sergio Zavoli, senatore, già presidente della RAI, classe 1923.
A questo punto Villari si dimetterà, assicurano i vertici del pd. E invece, lui dichiara: "Non sono il problema ma la soluzione", "Contro di me minacce inaccettabili", "Io rappresento le istituzioni" e per chiudere: "Non mi dimetto".

Adesso tutti a chiedergli di dimettersi, perfino Berlusconi. Ma non potevano pensarci prima? L'attuale legge elettorale ha tanti limiti e un vantaggio: i partiti possono sapere in anticipo, con precisione millimetrica, chi sarà eletto in Parlamento. E' chiedere troppo di candidare gente affidabile? La prossima volta facciamo un sorteggio, con un po' di fortuna eleggeremo qualcuno un tantino più serio di Riccardo Villari.




Ho tratto il titolo del post da un film del 1934 sulla rivoluzione messicana: "Viva Villa!". Nella colonna sonora del film venne usata una vecchia canzone popolare che poi divenne famosa in tutto il mondo: "la Cucaracha". Mi pare un'ottima colonna sonora per questa italianissima vicenda.

mercoledì 19 novembre 2008

Provaci ancora, Woody

"É assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV".

Faccio fatica a parlarne male. Woody Allen è uno che ha colonizzato il mio immaginario, ha scritto battute che avrei voluto scrivere io e ha realizzato film che rivedrei all'infinito. Eppure quest'ultimo "Vicky Cristina Barcelona" è un film mediocre. Una commediola molto leggera, troppo leggera, tanto da assomigliare a un telefilm di mezza serata.

La vicenda racconta l'estate in Spagna di due giovani newyorkesi (Scarlett Johansson, Cristina, e la sconosciuta Rebecca Hall, Vicky), le due, diversissime per carattere e approccio alla vita (istintiva e passionale la prima, razionale e pragmatica la seconda), conoscono un affascinante artista Juan Antonio (Javer Bardem, il killer dall'improbabile capigliatura di "Non è un paese per vecchi") che ne metterà a soqquadro l'esistenza fino al loro ritorno in America.
La storia si gioca nell'intreccio di dramma e commedia ma se in "Melinda e Melinda", del 2004, i due aspetti della vita giocavano un riuscito contrappunto, qui si mescolano producendo un insipido brodino.
Le due protagoniste sembrano delle adolescenti in gita scolastica e Bardem deve impersonare tutti gli stereotipi dell'artista maledetto. L'unica parte riuscita e quella di Penelope Cruz, geniale artista ed ex moglie Juan. Poche le battute da ricordare e alcune scontatissime situazioni da commedia degli equivoci; restano del film una gradevole fotografia e la bellezza di Barcellona e Oviedo.
Ho una brutta impressione: forse Allen è arrivato al capolinea. Spero di no. Anzi, voglio credere di no.

"Dopodiché si fece molto tardi, dovevamo scappare tutt'e due. Ma era stato grandioso rivedere Annie, no? Mi resi conto che donna fantastica era – e di quanto fosse divertente solo conoscerla… e io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete… quella dove uno va da uno psichiatra e dice: 'Dottore, mio fratello è pazzo. Crede di essere una gallina.' E il dottore gli dice: 'Perché non lo interna?' E quello risponde: 'E poi a me le uova chi me le fa?' Be', credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali e pazzi e assurdi e… ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova".
Io e Annie (Annie Hall).

martedì 18 novembre 2008

Senza commento


I fatti separati dalle opinioni.

Il Consiglio provinciale di Gorizia ha votato unanimente una mozione di censura dell'operato del Presidente della provincia Enrico Gherghetta (pd).
Nel documento si stigmatizza il fatto che la figlia del presidente svolga uno stage formativo presso l'ente e che il fratello abbia vinto un appalto per la prestazione di servizi. Nel documento, pur ribadendo che entrambi gli atti rientrano perfettamente nella legalità, si sottolinea che gli amministratori pubblici dovrebbero evitare azioni che approfondiscano il solco tra i cittadini e la politica.

Il presidente ha votato a favore dell'ordine del giorno che lo censura.

domenica 16 novembre 2008

Liberate Mara!

No, no. Non scado nel volgare. Non mi ci metto anch'io. Non farò battute scontatissime. Non mi interessa la sua vita privata e, soprattutto, non ho i soldi per pagare una querela.
Il mio è un appello umano e civile.
Guardatela: tiratissima e smagrita. Da quando è diventata ministro Mara Carfagna perde peso e verve, sbarra gli occhi e le sue curve si trasformano in spigoli.


La voglio ricordare così: com'era prima e come dovrebbe ritornare. Gentilissima ministro, lasci il governo e torni sui calendari.

Il sillogismo

Tutti gli uomini sono mortali.
Socrate è un uomo.
Socrate è mortale.

Il sillogismo è l'argomentazione logica definita da Aristotele in cui, poste due premesse, ne deriva una necessaria conclusione.

Mariastella Gelmini, ministro della Pubblica istruzione, in un convegno di Forza Italia a Rezzano: "Io l'ho detto, questo è un governo che crede nel cambiamento ed è, per certi versi, un governo di sinistra".


Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, al convegno dei Circoli del buon governo a Montecatini Terme: "I fannulloni spesso stanno a sinistra".



Quindi: Questo governo è fatto di fannulloni.
Non l'ho detto io. E' il sillogismo. E non si dica che Aristotele era comunista.


Parole utili e parole a vanvera

Sulla vicenda di Eluana Englaro avrei molto da dire, ma in questo momento mi sento solo di esprimere pietà per lei e solidarietà per suo padre.
Coloro che hanno un ruolo politico dovrebbero sempre tenere conto delle conseguenze di ciò che dicono, si tratta di quella che Max Weber chiamava "etica della responsabilità", un'altra delle virtù ormai sparite in questo paese.

Nel forsennato profluvio di dichiarazioni di questi giorni, spiccano per forza, intelligenza e sensibilità la parole di Ignazio Marino, senatore del partito democratico, medico e cattolico: "La decisione di sospendere tutte le terapie a una persona che si trova in uno stato vegetativo persistente non significa certo commettere un omicidio, ma semplicemente prendere atto del fatto che non c'è più nulla da fare e non vi è una ragionevole speranza di recupero dell'integrità intellettiva, come hanno riconosciuto i medici. Non si tratta né di condanna a morte né di eutanasia, come dicono alcuni, ma si tratta di accettare la fine naturale della vita. La sentenza di oggi mette in evidenza ancora una volta quanto sia importante che venga colmato il vuoto legislativo del nostro paese con una legge basata sui principi enunciati dalla Costituzione, che garantisce a tutti il diritto alla salute ma non impone a nessuno il dovere di sottoporsi ad un determinato trattamento. Serve al più presto una legge che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere. Da anni discutiamo di questo senza arrivare ad una posizione condivisa. Un accordo condiviso è necessario perché in gioco c'è una questione che riguarda la vita di tutti i cittadini italiani, non solo degli elettori del centrodestra o di quelli del centrosinistra". Parole utili.


All'opposto ho trovato le dichiarazioni dell'assessore alla salute della regione Friuli Venezia Giulia Vladimiro Kosic che, interrogato sull'eventualità che Eluana Englaro venisse accolta in una struttura sanitaria della nostra regione, ha risposto: "Siamo disposti all'accoglienza, non a negare acqua e pane". Parole a vanvera.

venerdì 14 novembre 2008

Il gourmet scomparso


Si è alzato dal tavolo, ha detto al cameriere che sarebbe uscito un attimo a prendere dei biglietti da visita e nessuno l'ha più visto. Pascal Henry, un fattorino svizzero con la passione per la gastronomia, è scomparso dal 13 giugno, dopo una cena al ristorante El Bulli del premiatissimo cuoco catalano Ferran Andrià.
Era alla quarantesima cena delle sessantotto programmate. Henry, grazie all'aiuto di un amico facoltoso, stava realizzando il sogno di una vita: cenare in tutti i sessantotto ristoranti del mondo che sono stati decorati con le tre stelle Michelin.
Aveva cominciato dalle parti di Lione da Paul Bocuse il patriarca dell'alta gastronomia francese il quale, venuto a conoscenza del tour del fattorino, gli aveva offerto la cena e regalato un quaderno dove i più grandi chef avrebbero lasciato una dedica.


Era già passato in Italia (sono cinque i tre stelle italiani) e avrebbe dovuto chiudere il viaggio a Parigi con una festa offerta da Alain Ducasse, ma non vi è mai arrivato.
Ancora ricercato dalla polizia spagnola, pare sia stato avvistato a Ginevra mentre prelevava del denaro da un bancomat, ma non ci sono conferme. Restano un fattorino scomparso, un conto salato da pagare e un quaderno fermo a trentanove dediche.

Mi auguro che il fattorino stia proseguendo il suo giro per il mondo in incognito. Questa volta per le osterie.

"L'appetito vien mangiando, la sete se ne va bevendo"
(Gargantua e Pantagruel, François Rabelais).

"Monsieur Saint-Jour mi fece cenno di avvicinarmi al parapetto superiore, si chinò in avanti finché la sua testa quasi scomparve sott'acqua, e riemerse serrando nel pugno simile a una morsa un'enorme ostrica di forma irregolare, incrostata di sabbia- con un vecchio coltello dalla lama corta e arrugginita aprì il mollusco e me lo porse sotto gli occhi di tutti, con il mio fratellino che indietreggiava disgustato da quella cosa luccicante, dall'aria sensuale, ancora abbastanza viva e gocciolante.
Io la presi in mano, mi rovesciai in bocca il contenuto secondo le istruzioni del raggiante monsieur Saint-Jour, e ingollai rumorosamente. Sapeva di acqua salata... di brina e di carne... e in qualche modo del futuro.
E ogni cosa fu diversa. Ogni cosa".
(Kitchen Confidential, Anthony Bourdain).



La foto, le tagliatelle e il ragù sono miei.

Anch'io simpatico (I puntata)


E sono dieci. Si, dieci persone che da aprile a oggi mi hanno detto di aver votato Renzo Tondo perché è simpatico, altro che quell'algido e glaciale di Riccardo Illy.
Ma dai, mi sono detto, mica sarà solo una questione di simpatia. E i programmi, le idee, i risultati raggiunti, avranno contato qualcosa? Eppure dieci persone...
Allora ho pensato: bisogna agire, fare qualcosa. Noi di sinistra abbiamo la cultura, le idee e i programmi ma siamo antipatici, quindi, da oggi, farò la mia parte. Cerco di diventare simpatico.
Non sarà facile: sono pigro, saccente e innamorato delle battute caustiche, ma devo farcela.
Ma da dove cominciare? Idea: copio, come facevo alle medie col mio compagno di banco, oggi affermato fisico. E copio da lui, dal simpaticissimo presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
Vado allora a vedere il suo blog, speranzoso di capire come si possano affrontare temi seri e importanti, trasmettendo tanta simpatia.

Apro il blog e mi metto a leggere i post. Nel primo si parla dell'assessore regionale alla protezione civile Vanni Lenna. Poche frasi, si racconta che l'assessore è stato a Roma a una riunione e si chiude scrivendo: "Complimenti a Lenna che sta dimostrando di essere un ottimo assessore!". Forse un po' troppo autocelebrativo e passo al post sucessivo. Il titolo: "Conferenza Stato -Regioni". Svolgimento: "Oggi sono a Roma per la conferenza Stato-Regioni: Al termine dei lavori, sarà anche l'occasione per alcuni incontri romani di cui vi renderò conto successivamente". Tutto qua? Mah. Proseguo, trovo un commento su un articolo del Corriere, poi c'è un duro attacco allo scrittore Camilleri e poi, finalmente, trovo un argomento decisivo: la morra! Si la morra, il gioco che si fa battendo i pugni e gridando i numeri.





Poi ci sono ben due post sul gioco della dama. Una visita in un'azienda che produce impianti di illuminazione e una a Resia dove il presidente dichiara: "sono d'accordo con chi si batte per tutelare i valori nei quali si riconosce". Alla fine della pagina c'è la foto di un orso bianco che sonnecchia e il simpatico presidente che dichiara di essere stanco per il protrarsi dei lavori in aula per l'esame della legge sul commercio. A fine lettura mi rendo conto che diventare simpatico sarà un'impresa complicatissima. Però un primo insegnamento l'ho colto: devo trovare un gioco, una specie di sport molto popolare, roba ruspante e non elitaria, con la quale dimostrare di essere alla mano e vicino alla gente. E l'idea mi viene subito:




Nel 2000, alla vigilia delle elezioni, chiesero a un campione di elettori americani se preferissero andare a farsi una birra con George W. Bush o con Al Gore. La grande maggioranza disse Bush e qualche settimana dopo divenne presidente degli Stati Uniti, Gore, qualche anno più tardi, dovette accontentarsi del premio Nobel. Dopo otto anni, gli stessi elettori, stanchi delle troppe birre con Bush, hanno eletto Barack Obama. Forse c'è ancora speranza.

mercoledì 12 novembre 2008

Una divisa per la provincia


Non ce l'ho con lui, lo giuro, ma quest'uomo è una tale fucina di idee, una tale cornucopia di iniziative che torno a scrivere di lui.

Il presidente della provincia di Udine e capo dei leghisti friulani, Pietro Fontanini, si è reso conto che l'ente provinciale non è molto popolare e allora, fedele al principio che bisogna essere vicini al popolo, ha escogitato una grande trovata: mettere in divisa uscieri e messi del palazzo provinciale. Ma non una divisa qualsiasi, un bel costume popolare e così, oplà, si torna vicini alla gente.

Lanciatissima, l'assessore provinciale alla cultura e identità Elena Lizzi, dichiara al Messaggero Veneto: "Non vogliamo forzature bensì dare dignità alla tradizione senza lasciarla relegata nei libri e nei musei, perché le nostre radici abbiano valore vero". La proposta riceve subito il plauso del presidente della Filologica friulana Lorenzo Pelizzo che vedrebbe bene anche gli amministratori pubblici in costume: "La sposo in pieno perché è un modo per concretizzare l’impegno verso la valorizzazione del friulano. L’importante è che sia un abito serio e certificato, non una carnevalata, perché un costume tipico è uno strumento importante. E penso poi che un vestito da cerimonia che richiami la tradizione friulana dovrebbero indossarlo per cerimonie importanti anche i rappresentanti delle nostre istituzioni".

Come al solito, l'opposizione e i sindacati non capiscono la grandezza dell'idea e vorrebbero che il presidente si annoiasse lavorando sul piano rifiuti e sulla viabilità.




Sono stato consigliere provinciale per nove anni, sette dei quali passati a presiedere il consiglio, quindi, anche per motivi affettivi, non sono tra coloro che si esaltano quando viene chiesta l'abrogazione delle province. Ho però l'impressione che se si continua a fare proposte di questo tipo, quando le province verranno chiuse non si lamenterà nessuno, anzi.

Allora voglio dare una mano al presidente Fontanini.

Caro Presidente, pur perplesso sulla sua proposta di vestire in abito tradizionale i dipendenti della provincia e, consapevole che sarà difficile trovare un costume che vada bene a tutti da Tarvisio a Lignano, le suggerisco una divisa che sicuramente troverà l'apprezzamento e il consenso di tutti i friulani:


Non si inquieti per il colore di chi la indossa. E' solo abbronzato.

martedì 11 novembre 2008

Free Burma

Per noi avere un blog è un passatempo in cui scrivere cose più o meno intelligenti che verranno più o meno lette. In altre parti del mondo è qualcosa di terribilmente serio e pericoloso.




Nay Phone Latt è un giovane blogger birmano condannato a vent'anni di reclusione per aver pubblicato una vignetta satirica contro il generale Than Shwe, capo della giunta militare che da quarant'anni tiranneggia il paese.


"Generale, chiediamo di discutere dei nostri diritti umani". "Ragazzo, credi che io sia ancora un essere umano".


Non lasciamo solo Nay Phone Latt.